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Dai francescani che vivono in un treno dismesso praticando la povertà

La comunità francescana del Frullone a Napoli

Tutto è iniziato da una foto. La foto di un francescano che pregava sugli scogli di Napoli, che abbiamo pubblicato sulla nostra pagina fb. Qualcuno, nei commenti, ci ha detto che quel frate si chiama Fra Angelo e vive al Frullone con la sua comunità. Abbiamo deciso di andarlo a trovare, perché ci incuriosiva conoscere questi frati che vivono in povertà, in mezzo a noi.

A volte inseguiamo la pace cercandola lontano, sognando di mollare tutto, gettarci alle spalle i problemi e le ansie, e fuggire via. Ma capita pure di scoprire che la pace, anzi, la Pace, quella più bella e arricchente, si può rintracciare accanto a noi, quasi dietro l’angolo. Verso Capodimonte, in un angolo dove la Pace è impalpabile ma percepibile come l’aria e come il calore del sole di questo giorni, vive la comunità dei Frati Minori Rinnovati. Vivono secondo i dettami della Regola originaria, voluta da San Francesco d’Assisi, dormendo in carrozze ferroviarie dismesse, e vivendo in Amore e Armonia coltivando la terra e accogliendo i visitatori che vengono a ricevere un consiglio è a condividere attimi di profonda spiritualità, in cambio di aiuti e offerte fatte di cuore.

Qui, vivo e presente, il Serafico Padre sembra impresso nei volti di ciascuno dei confratelli. Aprono a chi bussa alla loro porta con un sorriso dolce e disarmante, augurando la pace, e quel saluto, a fronte del cuore del visitatore intriso di ansia e di angosce, se ne percepisce immediatamente tutta la bellezza, come un dono dello Spirito, come un getto di acqua fresca in un giorno torrido, come una dolce carezza sul cuore, un affetto che ti avvolge dolcemente, e che non vuoi più lasciare andare. E già ci si commuove. Sono davvero anime belle, e dopo un po’ che sei lì, ti viene voglia di non andare più via, di rifugiati tra loro e lasciare che il mondo continui a esplodere senza più ferirti… Ma chi ha fatto una scelta tanto estrema non lo ha fatto per odio del mondo e della vita, esattamente il contrario: perché nel loro cuore e nelle loro parole non c’è odio, rabbia, fuga, o non aprirebbero le proprie porte ai visitatori che chiedono di confessarsi, e non accoglierebbero i visitatori in uno scambio di idee e di opinioni. Perché qui arriva chi porta loro doni, ma anche chi porta anime sofferenti, che chiedono quella Pace che non riescono più a trovare altrove.

E loro accolgono, e pregano con chi chiede aiuto, e come le Suore Figlie della Carità, le consorelle di Madre Teresa, vedono Gesù nell’uomo sofferente, questi umili giganti di Fede cercano l’uomo attraverso Gesù: e se non è l’uomo a raggiungerli, sono loro a recarsi a cercare lui, scalzi d’estate o con un paio di sandali se l’inverno è troppo rigido. Ma anche scalzi, ti sembra di vederli procedere come su di una nuvola, e capisci che la loro non è una rinuncia o un sacrificio, ma un contatto vivo e diretto con quel mondo che essi, come Cristo, amano più della loro stessa vita.

Ascoltarli parlare è una porta verso il Paradiso, un Paradiso che inizia già in terra, se solo sappiamo cercarlo, come hanno fatto loro. Guardando la realtà attraverso i loro occhi, la vita assume un colore e una vividezza incredibili: si comprende il senso di questa scelta, all’apparenza una rinuncia, ma invero una conquista. Tra tanto caos, hanno scelto la quiete, e attraverso i suoi gesti e le parole se ne percepisce il processo interiore e i passi che lo hanno condotto a quel punto del cammino, a cominciare dal non sfuggire all’incontro occhi negli occhi con Cristo attraverso lo sguardo degli altri, e senza la paura del Suo sguardo che lacera le sicurezze, e disintegra quella scorza che copre le ignote profondità del proprio cuore, e delle lacrime che potranno rigare il viso dopo questo incontro profondo con sé, e con Lui, superando l’angoscia di non riuscire a reggere a quella vista, alla vertigine di affacciarsi sulla propria anima per potersi poi permettere di osservare l’anima di chiunque senza pregiudizi né passioni, al di là del colore della pelle, del sesso, della razza e delle angosce che ne turbino l’esistenza; imparare ad accarezzare gli sguardi di ciascuno col Suo Amore; fissare gli occhi nel Tabernacolo, e ritrovarne la bellezza in ogni cuore, perché in ciascuno di noi c’è una scintilla di Dio, ma bisogna saper osservare, liberandosi da ogni orpello, per scoprire che dietro ogni apparenza c’è l’essenza del più Povero tra i poveri, e non solo tra gli ultimi della terra.

Questi Frati hanno imparato a comprendere che ogni orpello va gettato via, o non potranno mai arrivare a percepire l’essenza del povero pellegrino, e trovarne il dono più prezioso: Dio non ha niente, nulla ha tenuto per sé, neppure Se stesso. E così, vanno in cerca della pecorella smarrita, per entrare nel suo regno, il regno del povero, e si fanno per questo poveri per poter arricchire di Spirito chi vive nelle tenebre dell’angoscia, e per compiere questo passo che è già di per sé un gesto di Amore, hanno scelto di lasciare gli abiti di gala, i piaceri, gli amori, i desideri e i rancori, le sicurezze e l’orgoglio, il sapere ed il fare; e ancora, un passo oltre, hanno lasciato virtù e onore, il prestigio, i diritti e ogni sovrastruttura mentale e fisica: e quando sembrerebbe che siano ormai pronti, si rendono conto che per varcare quella porta della Comunità, che è la porta del Regno, occorre perdere tutto di sé, ma proprio tutto: e allora è il momento di lasciarsi dietro corpo ed anima.

Morire al mondo per rinascere col mondo e nel mondo! Perché se vogliono essere Poveri come Cristo, devono fare la Sua scelta: consegnare il proprio corpo, e perdere la propria anima, vestita di nulla e ricca della sua nudità, e finalmente, ricchi di ogni libertà, potranno varcare quella soglia ed entrare là dove li attende la Perfetta Letizia, ossia il dono più prezioso del Povero: l’Amore!

Sergio Valentino - www.identitainsorgenti.com

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